4° CONGRESSO INTERNAZIONALE SCIENCE IN NUTRITION

Il consumo calorico giornaliero è aumentato di circa trecento calorie rispetto al 1970 e, di conseguenza, gli obesi sono passati dal 15 al 36% della popolazione adulta nell’arco di quarantacinque anni.

Mangiamo troppo e male. Ma una semplice dieta ipocalorica non basta. Serve intervenire su più fronti come quello proposto dalla Positive Nutrition.

Milano – Pensare positivo anche quando ci si siede a tavola. Perché la dieta non è solo privazione ma anche aggiunta di “Superfood” che può aiutarci a vivere più a lungo e meglio. Non si parla, infatti, solo di longevità in senso stretto ma di durata della vita in buona salute, o “healthspan” come la definiscono negli Usa, ovvero la longevità al netto degli anni di malattia. È questa la chiave, la ‘svoltà che può invertire il trend che ha portato un aumento dei casi di obesità in 45 anni dal 15 al 36% della popolazione adulta, con pacchetto calorico giornaliero superiore di 300 calorie rispetto agli anni Settanta.

Si mangia troppo e male, si vive di più ma si vive peggio. Ma mentre l’invecchiamento è un processo irreversibile influenzato dall’assetto genetico di ognuno di noi, che può fare aumentare la suscettibilità individuale a contrarre una malattia, il rischio di sviluppare una patologia, invece, è legato in prevalenza a fattori ambientali tra cui l’alimentazione e lo stile di vita in generale. La cosiddetta ‘infiammazione silente’, che concorre all’invecchiamento, è alla base di importanti malattie croniche (prime tra tutte diabete e obesità, tumori, patologie cardiovascolari, neurodegenerative e così via). Un corretto stile di vita che contempli un’adeguata attività fisica quotidiana, accanto a una moderata restrizione calorica, che tenga conto della qualità dei nutrienti assunti, è la via migliore per tenere a bada questa insidiosa infiammazione. Massimizzare la durata della vita in salute agendo sull’infiammazione silente è proprio l’obiettivo della Positive Nutrition. Questa la tematica del 4th International Congress Science in Nutrition organizzato dalla Fondazione Paolo Sorbini per la scienza nell’alimentazione e con il Patrocinio di Regione Lombardia che si apre oggi a Milano.

Nell’ambito dell’evento si è svolta una Tavola Rotonda dal titolo “Positive Nutrition: i pilastri della longevità” che riprende l’omonimo titolo del nuovo di libro di Barry Sears, biochimico americano ideatore della dieta Zona, autore con Benvenuto Cestaro e Giovanni Scapagnini (Edito da Sperling & Kupfer).

La Positive Nutrition – spiega Giovanni Scapagnini, medico e neuroscienziato, professore associato di biochimica clinica presso il dipartimento di Medicina e scienze della salute dell’Università del Molise, Campobasso – deriva da un concetto della psicologia dove il ‘pensare positivo’ è un approccio culturale che aiuta a raggiungere una maggiore felicità. Siamo abituati a pensare alla dieta con l’idea della privazione, ovvero la necessità di eliminare o quanto meno limitare il consumo di certi alimenti specie se abbiamo problemi di salute come colesterolo o diabete. Ma il cibo può essere una fonte di sostanze benefiche per la salute, veri e propri ‘farmaci’, con azioni ben precise sull’organismo e sul funzionamento di ogni sua singola cellula”. Dunque, la Positive Nutrition non è la proposta dell’ennesima dieta del momento, ma uno stile di vita da abbracciare per sempre.

Positive Nutrition. I pilastri della longevità è anche il titolo dell’ultimo libro di Barry Sears, presidente della Inflammation Research Foundation e tra i massimi esperti nel campo del controllo della risposta ormonale attraverso la dieta. L’inventore della famosa dieta Zona parte da un concetto fondamentale e ormai condiviso da tutti gli esperti: l’infiammazione silente è alla base dell’eccesso di peso e di gran parte delle malattie.

L’infiammazione – spiega Sears – può essere un’arma a doppio taglio: ci permette di difenderci dalle invasioni microbiche e consente alle lesioni fisiche di guarire. Se, però, la risposta infiammatoria non si risolve in maniera adeguata, allora diventa un’infiammazione a bassa intensità che può attaccare i nostri stessi organi, accelerando l’insorgere di malattie croniche. “Mantenerla entro una certa zona – non troppo bassa, non troppo alta – è anche uno dei fattori chiave della Positive Nutrition, in quanto permette appunto di ridurre lo sviluppo precoce di patologie croniche”.

Se l’infiammazione è il nemico bisogna combatterla anche a tavola con una strategia nutrizionale che riesca a controllarla mantenendola entro una zona di valori né troppo alti né troppo bassi, riducendo anche l’apporto calorico ma senza provocare quella spiacevole sensazione di sentirsi stanchi o affamati. “Una dieta antinfiammatoria – spiega Benvenuto Cestaro, docente di Chimica Biologica e Biochimica della Nutrizione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano – prevede una riduzione di cibi pro-infiammatori, come gli acidi grassi idrogenati (prodotti da forno, da pasticceria, da fast food, margarina eccetera), gli acidi grassi saturi (carni rosse, latte, burro e formaggi) e gli acidi grassi omega-6 (da cui deriva l’acido arachidonico). Da privilegiare, gli acidi grassi monoinsaturi (olio di oliva, per esempio) e, soprattutto, i polinsaturi omega-3. Il rapporto ideale nella dieta tra omega-6/omega-3 è approssimativamente di 2:1”.

I Superfood

Pesce, alghe, verdure, spezie. Sono alcuni degli ‘alimenti-farmaci’ che non dovrebbero mancare mai a tavola perché ricchi di acidi grassi omega-3 e polifenoli, ormai considerati dei Superfood perché si è visto che sono molto presenti nell’alimentazione delle popolazioni più longeve.

Gli omega-3 sono sostanze essenziali – aggiunge Giovanni Scapagnini – ma nell’alimentazione quotidiana il quantitativo si è ridotto molto, e questo è alla base dei processi infiammatori che potrebbero spiegare l’aumento delle malattie cronico-degenerative”. Appartengono al gruppo dei Superfood anche i polifenoli presenti nelle piante. “Si comportano come dei trainer per le nostre cellule perché sono in grado di innescare la trascrizione genica. In pratica, insegnano alle cellule a mantenere il controllo dello stress ossidativo, dell’infiammazione e del metabolismo”.

Come assumere questi nutrienti così preziosi? Scegliendo gli alimenti con criterio oppure – quando

necessario – ricorrendo ad un’integrazione.

Gli integratori – precisa Scapagnini – non sono un ‘peccato’ da non commettere, ma piuttosto una forma concentrata di principi attivi che sostengono il benessere. Non basta, infatti, una sana alimentazione per assumere i nutrienti di cui abbiamo bisogno, sia perché gli alimenti si sono impoveriti dal punto di vista nutrizionale, sia perché i quantitativi che riusciamo a mangiare non bastano per farci assumere il quantitativo necessario”.

I dosaggi di Superfood indicati dall’Efsa

La stessa Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha espresso un parere scientifico sui livelli di assunzione di omega-3. “Secondo gli esperti Efsa – prosegue Scapagnini – per ottenere gli effetti indicati di riduzione della pressione sanguigna e dei livelli dei trigliceridi occorre un’assunzione di EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico) compresa tra 2 e 4 grammi al giorno, mentre per il mantenimento di una normale funzione cardiaca è sufficiente un’assunzione di 250 mg”. Per i polifenoli, invece, non esistono ancora delle chiare indicazioni sui livelli di assunzione tranne che per quelli contenuti nell’olio extra-vergine di oliva e nel cacao. “In particolare, l’Efsa ha stabilito che per poter svolgere una funzione anti-ossidante, migliorare il metabolismo dei grassi e proteggere dal colesterolo cattivo il consumo dovrebbe essere per lo meno pari a 5 mg di idrossitirosolo (uno dei polifenoli contenuti nell’olio di oliva).

Per quanto riguarda i polifenoli del cacao, l’Efsa ha stabilito che i flavanoli aiutano a mantenere un buon flusso sanguigno e quindi a prevenire l’aterosclerosi se ne assumiamo 200 mg al giorno, una quantità che si raggiunge con 2,5 grammi di polvere di cacao o 10 grammi di cioccolato fondente”.

Il diabete come metro di misura del tipo di nutrizione

La correlazione tra obesità, stile di vita, alimentazione e diabete è strettissima. “Molte persone – spiega Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute and Cell Transplant Center dell’Università di Miami e del Centro Trapianti Cellulari – hanno un atteggiamento di rassegnazione rispetto alle malattie specie quando c’è una familiarità come può accadere anche nel diabete. In realtà il 95% dei casi di diabete di tipo 1 insorgono in famiglie senza alcuna familiarità. Certamente la genetica ha un ruolo importante nel determinare la predisposizione alle malattie ma l’epigenetica, cioè i vari fattori ambientali (i cibi, l’attività fisica, lo stress, ecc.) possono essere più importanti e contribuire fino all’80% nella prevenzione delle malattie. Infatti, numerosi studi hanno dimostrato come una dieta equilibrata, con una moderata restrizione calorica e lo svolgimento di una regolare attività fisica, possano prevenire anche del 50% dei casi di diabete di tipo 2”.

 L’alimentazione funzionale

La Positive Nutrition si basa anche sul presupposto che ogni cibo può svolgere delle funzioni (positive) specifiche per il nostro organismo: “Dobbiamo imparare a considerare ogni pasto come un ‘progetto ormonale’ che condiziona direttamente il lavoro degli organi e che può agire sul nostro Dna – spiega Sara Farnetti, specialista in Medicina Interna e malattie del metabolismo –. La nutrizione funzionale ci aiuta a capire come funziona il cibo che può essere uno strumento preventivo, terapeutico ma anche di guarigione. Il cibo, infatti, può attivare il gene della longevità agendo direttamente sui nostri geni”.

Allenarsi senza rischi

L’esercizio fisico e l’attività sportiva – spiega Stefano Righetti, cardiologo presso l’Ospedale San Gerardo di Monza – provocano un’infiammazione che, però, è necessaria per riparare e rigenerare i tessuti dopo il danno muscolare provocato proprio dall’allenamento. Ma se l’infiammazione è eccessiva, anziché avere la ricostituzione del tessuto originario che si è danneggiato, si forma del tessuto cicatriziale che potrebbe aumentare il rischio di infortunarsi. Ecco perché bisogna ridurre attraverso la giusta alimentazione l’infiammazione derivata dall’esercizio fisico. Varie ricerche hanno dimostrato che anche gli omega-3 e i polifenoli giocano un ruolo nella risoluzione dell’infiammazione dovuta all’esercizio fisico riducendo il danno muscolare indotto dall’allenamento”.

 L’importanza dell’idratazione

Attività sportiva e idratazione sono strettamente correlati. Che sia inverno oppure estate non conta: bisogna bere sempre e nelle giuste dosi, anche quando non si ha sete e soprattutto se si svolge attività fisica perché il corpo consuma acqua e minerali come sodio, cloro, potassio e magnesio, che vanno tassativamente recuperati per non mettere a repentaglio la salute, soprattutto del cuore. “Senza un’adeguata idratazione – dice Luca Mondazzi, specialista in Scienze dell’Alimentazione e in gastroenterologia, del Servizio di Nutrizione nello sport, Mapei Sport Service – non si può ottenere dall’allenamento il migliore risultato, perché le cellule e le fibre muscolari disidratate non hanno la possibilità di mettere in atto i cambiamenti stimolati dall’esercizio che a loro volta determinano un aumento delle capacità di prestazione sportiva”. 

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IL NUTRIZIONISTA IADER FABBRI INSIEME A BARRY SEARS. 

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